“Tutti le principali società di gestione di ETF oggi propongono una serie di ETF di più recente introduzione, che vengono normalmente chiamati “Smart Beta”, “ETF Fattoriali” o “ETF Intelligenti”. La ragione dello sviluppo di queste strategie è duplice, come spiega Consultinvest. Da un lato gli ETF a replica passiva di un indice di mercato sono già ampiamente presidiati dai leader di mercato, e quindi i nuovi entranti dovrebbero offrire prodotti a più basso costo e fare elevati investimenti per conquistare quote di mercato. Dall’altro lato, da sempre, la discussione su quale peso attribuire ai titoli che compongono un indice ha sempre appassionato i ricercatori e diviso i gestori. Sugli indici obbligazionari è evidente che pesare maggiormente le emissioni più grandi equivale a dare un maggiore peso agli emittenti che hanno un debito più elevato in assoluto, indipendentemente dal suo rapporto sul fatturato o su altre voci di bilancio. I principali indici di governativi infatti attribuiscono pesi rilevanti all’Italia e al Giappone, che sono due tra le nazioni con il maggior debito rispetto al PIL. Sull’azionario il discorso è diverso, ma ci sono scuole di pensiero che ritengono che attribuire un peso basato sulla capitalizzazione di mercato non sia la soluzione migliore”.
“Per questo si sono sviluppate una serie di metodologie che cercano di pesare in maniera differente i titoli rispetto alla capitalizzazione, che è la metodologia oggi più diffusa, per ottenere risultati migliori rispetto agli indici più comuni (maggiore rendimento e/o minore volatilità). La ricerca ha identificato una serie di fattori che possono portare a questo risultato, sia basati su fenomeni di finanza comportamentale, sia giustificati da fattori economici”.
““Smart Beta” significa quindi semplicemente una modalità di pesatura dei titoli presenti in un indice che consente di ottenere un miglior rapporto rischio/rendimento rispetto agli indici a capitalizzazione. Non si deve però dimenticare che si tratta sempre di prodotti passivi, con tutti i noti vantaggi degli ETF, ma comunque si tratta di regole che vengono seguite in maniera deterministica, senza spazio per alcun intervento soggettivo. Una delle strategie più diffuse è basata sulla ricerca dei titoli a minore volatilità, tra quelli presenti in un indice, opportunamente vincolata ad avere un certo numero di titoli e una diversificazione settoriale simile a quella dell’indice per evitare concentrazioni eccessive su alcune tipologie di aziende”.
“Un altro modo di pesare i titoli, può essere quello di privilegiare i titoli che rispondono a particolari criteri di redditività, perché la ricerca ha dimostrato che nel lungo periodo tendono a fare meglio del mercato. Questa strategia prende il nome di “quality income” o simili e ogni società di indici ha definito le proprie regole e i dati di bilancio con cui seleziona questi titoli. E’ una evoluzione delle strategie ad alto dividendo, che inizialmente privilegiavano le società con alti dividendi, ma senza porre particolare attenzione al motivo per cui erano così elevati. Con i tassi obbligazionari così bassi, una strategia di questo tipo risulta chiaramente molto interessante”.
“Un’altra famiglia di strategie va più propriamente sotto il nome di “factor investing” perché la ricerca ha identificato alcuni fattori che mediamente portano alcuni tipi di società a sovra performare il mercato, anche se in contrasto con le teorie di base della finanza. Gli studi hanno dimostrato che le società a minore capitalizzazione, le società con le quotazioni in rialzo (momentum), le società con un basso beta di mercato, le società di qualità e le società che quotano a sconto rispetto al loro valore (value) nel medio periodo producono risultati superiori al mercato. Anche in questo caso le società di indici hanno sviluppato i propri criteri di selezione per ogni fattore e calcolato degli indici specializzati, che poi le varie società di gestione hanno portato sul mercato sotto forma di ETF. Basta quindi investire in questo tipo di ETF per fare meglio del mercato? Non necessariamente”.
“In primo luogo è necessario porre attenzione a eventuali concentrazioni settoriali o geografiche di alcune strategie. Ad esempio non è raro trovare indici value o quality income con una esposizione a utilities e telecomunicazioni ben superiore al mercato, e a tecnologia e finanziari ben inferiore. In secondo luogo nessuna strategia o fattore funziona sempre in tutte le condizioni di mercato. Le small cap ad esempio mediamente tendono a sovra performare il mercato, ma ci possono essere lunghe fasi di significativa sotto performance. In terzo luogo tutte le strategie, anche se sviluppate con criteri sofisticati, non contengono alcun criterio discrezionale che può essere utile a evitare posizioni in titoli che sono caratterizzati da un fattore, ma che hanno dei motivi fondamentali per cui non costituiscono un buon investimento. Ogni gestore attivo applica infatti una o più di queste strategie, e altri filtri sviluppati nel corso degli anni e coerenti con la propria filosofia di investimento, per uno screen iniziale dell’universo di investimento. Ma poi procede con una analisi sui fondamentali delle aziende che hanno superato questo test. Come sempre non crediamo ci sia una soluzione unica e valida in qualunque condizione di mercato, ma apprezziamo il fatto che oggi ci siano molte più alternative che in passato per i gestori e gli investitori”, conclude la società.