Un comunicato congiunto di Washington e Pechino, rilasciato sabato 19 maggio, segna una tregua nella possibile escalation protezionistica commerciale tra i due colossi, ma non può dirsi ancora certa la fine delle ostilità. Infatti molti, forse troppi, sono i punti irrisolti che rimangono sul tavolo; anche se, indubbiamente, il comunicato aiuta a stemperare i toni e a guadagnare tempo, spiega una nota di Consultinvest. Nonostante la mancanza di dettagli sulle specifiche misure che si promette verranno adottate da Pechino, si dichiara che la Cina ha accettato di impegnarsi a ridurre i 337 miliardi di dollari di avanzo commerciale che ha intrattenuto nel 2017 con gli USA attraverso una serie di provvedimenti atti ad aumentare l’import dagli USA (aumentando del 40% l’import di derrate agricole, anche attraverso la rimozione di alcuni dazi appena introdotti in ritorsione a quelli USA, e di 60 miliardi di dollari quello di prodotti energetici) e di continuare a trattare durante l’estate sugli altri punti che Washington ha richiesto. Ma nulla viene detto in proposito alla richiesta USA di generare una riduzione nel surplus commerciale cinese verso gli Stati Uniti pari a 200 miliardi di dollari entro il 2020. In cambio dagli USA si ottiene che durante questa fase di negoziazione la sospensione dei minacciati 150 miliardi di dollari di dazi che da giugno, in assenza di un accordo, avrebbero potuto essere imposti sulle merci cinesi, decretando verosimilmente l’inizio di una guerra commerciale con imposizioni crescenti di dazi.
COMPROMESSO DI BREVE TERMINE – Si sussurra che l’accordo sia anche frutto del fatto che Peter Navarro – consigliere economico del presidente e super falco sui temi del commercio con la Cina – si uscito dal “cerchio magico” del presidente. E’ questo, dunque, un compromesso di breve termine, utile a entrambi i contendenti e tutto sommato non sgradito anche al resto del mondo e ai mercati. E’ utile per la Casa Bianca, già in campagna elettorale, perché consente a Trump di sbandierare come vincente la Sua aggressiva strategia politica che consiste nel minacciare per costringere velocemente l’avversario al tavolo delle trattative concedendo poi qualcosa: una strategia da più parti criticata e che sta portando divisioni tra partnernship da tempo consolidate, come quelle tra USA ed Europa. Ed è positivo perché consente all’amministrazione USA di andare a discutere un altro pezzo importante della politica trumpiana, qual è l’accordo con la Nord Corea, con un problema in meno sul tavolo; e perché può essere presentato come un “successo” utile al dibattito politico interno che vede il presidente costantemente nel mirino dei media per le indagini del procuratore Muller che poco servono a risollevare il suo basso rating a pochi mesi dalle elezioni del Congresso. E’ un accordo positivo anche per Pechino, che sa molto bene di dover ridurre comunque il ruolo dell’export quale principale motore di crescita economica sostenendo la domanda interna che stimola l’Import, ma che Pechino ha bisogno di poterlo realizzare con gradualità, soprattutto in un momento come l’attuale in cui deve affrontare una graduale ma decisa riduzione dell’indebitamento interno.
DIVERGENZE AMPIE – Un’escalation di dazi imposti dagli USA avrebbe potuto rendere questo riequilibrio economico interno molto più difficile e rischioso. E’ positivo anche per il resto del mondo perché – almeno nel breve termine – può ridurre i rischi di escalation verso guerre commerciale a cascata dalle infinite ramificazioni negative, in grado di abbassare ulteriormente le aspettative di crescita economica globale che dall’inizio dell’anno hanno già iniziato a ridursi. Sotto questo profilo l’accordo serve potenzialmente a dare un po’ più di tranquillità ai mercati finanziari, che da alcuni mesi temono gli effetti destabilizzanti prodotti dall’aggressività delle posizioni USA nei rapporti internazionali, commerciali e non (come è il caso del deal nucleare con l’Iran). Ma sappiamo tutti che si tratta di una tregua che potrebbe non durare se i due colossi non riusciranno a saldare le loro differenze di visione, che rimangono ancora molto ampie. Pechino non ha ancora accettato le richieste USA più delicate e quelle dalle conseguenze di lungo termine più rilevanti, che spaziano dall’apertura internazionale del proprio mercato interno ai flussi d’investimento, alla tutela della proprietà intellettuale e alla difesa dei diritti esteri nelle partecipazioni al capitale delle imprese domestiche. Pechino infatti ribatte di voler avere piena reciprocità di trattamento da parte degli USA sugli stessi argomenti, una reciprocità che gli USA continuano a negare, adducendo ragioni di sicurezza nazionale. E’ il caso della società di telefonia ZTE, che riveste grande importanza per Pechino, e che non è stato ancora risolto, per le forti resistenze USA nonostante fosse stato oggetto di aperture da parte dello stesso Trump. Morale: possiamo dire che per il breve termine è stata scongiurata nell’interesse di tutti l’aspettativa di una guerra commerciale, quindi anche a vantaggio dei mercati finanziari che possono rimuovere dal tavolo un problema, almeno temporaneamente.
Fonte: Bluerating